Bambini meravigliosi

Mestieri
cooperanteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
EcuadorData di partenza
2011Data di ritorno
2011Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)

L’insegnamento a scuola è un’altra delle mansioni che Agostino Arciuolo svolge in Ecuador, impegnato in un progetto di cooperazione allo sviluppo.
Dopo pochi minuti già conoscevano tutti il mio nome. «Presto anche tu imparerai i loro nomi, ne sono certa» mi dice avvicinandosi la Senora Maria, intervenendo in quel chiasso infernale sia per mettervi un po’ d’ordine che per darmi il suo benvenuto. Subito m’ha messo al lavoro con i più piccoli: «Devono colorare un disegno che hanno fatto ieri. Tu limitati a controllare che non escano fuori dai bordi e, soprattutto, che non si rubino i pastelli tra di loro».
Per quanto si faccia lezione in condizioni a dir poco precarie (tre classi incastrate in un’unica aula, separate nel mezzo da una lavagna), e malgrado l’odore non proprio piacevole diffuso dal sudore di tutti quei corpicini irrequieti, nella scuola si respira davvero una bella atmosfera, pervasa dal sincero e innocente entusiasmo dei bambini, nonché dalla gioia di noi volontari di starvi a contatto, di poter insegnare loro qualcosa in un periodo importante delle loro vite in crescita, sperando che un giorno, fatti grandi, possano ricordarsi di noi, della nostra voce e della nostra faccia. Durante la pausa di ricreazione, con foga incontenibile, mi hanno circondato per chiedermi come si dicesse in italiano la taluna o la talaltra cosa. Li ho fatti ridere traducendone i nomi propri. Ho fatto loro credere, poi, che il mio nome cambia mese per mese, che Agostino era il mio nome solo ad agosto, e che avrebbero dovuto chiamarmi junino (giugnino) fino alla fine di giugno. «Anche il compleanno lo faccio una volta al mese. Tra qualche giorno, infatti, compio… trecento anni!». I più piccoli (di quattro e cinque anni) mi seguivano con la bocca aperta, provando a immaginare da quale fantastico pianeta provenissi; ma i più grandi (undicenni e dodicenni) ridevano, costringendomi alla fine ad ammettere lo scherzo (nonché la sua stupidità). Si sono avvicinati anche loro, chiedendomi di insegnargli un po’ d’italiano. «Bene, domani cominciamo!» ho risposto senza esitazioni, entusiasta per l’interesse suscitato sin da subito in questi affettuosi, adorabili ragazzi. A orario scolastico terminato ho finalmente svelato a tutti il contenuto del mio zaino, rispondendo così alle domande al riguardo che, con tenace insistenza, hanno continuato a rivolgermi per tutta la mattinata. Alla vista di tutto quel materiale sparso sui loro banchi, sono rimasti a stropicciarsi gli occhi per qualche secondo, senza parole e con il fiato sospeso; ma non appena ho aperto bocca per dire «questo è per voi da parte mia», sono corsi tutti ad abbracciarmi, manifestandomi la loro gratitudine con una tenerezza che per poco non mi ha lasciato in lacrime.
Il viaggio

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