Il cuore in volo

Mestieri
cooperanteLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
EcuadorData di partenza
2011Data di ritorno
2011Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)

Agostino Arciuolo, giovane laureato in filosofia, è in volo verso il Sud America. È il 2011 e sta andando in Ecuador per un progetto di volontariato e cooperazione.
Domenica 19 giugno 2011
Questa non è una fuga. O almeno non lo è più. Una fuga non prevede direzioni, non segue mai una linea precisa, una traiettoria riconoscibile, un traguardo, una rotta. La fuga è sempre partenza da, non partenza verso. Io invece so bene dove sto andando, o perlomeno posso indicarne il punto preciso sul mappamondo. E so pure il tempo che ci rimango. È per questo che la mia non è più una fuga. Ha smesso di esserla da quando ho deciso la meta del viaggio. Prima, quando ancora l’idea di partire era avvolta nel fumo di un impulso fine a se stesso, poteva ancora trattar-si di una fuga, o di un tentativo, se non altro, di fuga. Ora già non lo è più.
Non sto fuggendo. Sto solo partendo per un lungo viaggio. Destinazione: un villaggio sulla cordigliera ecuadoregna. E tra qualche ora ci passerò sopra. Volando.
Non immaginavo, prima di partire, che il primo muscolo ad entrare sottosforzo sarebbe stato proprio il più importante, quello che pompa sangue in tutti gli altri. L’aeroporto è stato una palestra di allenamento forzato per il mio cuore preso alla sprovvista, un attimo dopo aver dato l’ultimo saluto ai miei. Un batticuore improvviso mi ha preso d’assalto; lo sfrenato accavallarsi di sistole e diastole stringeva i polmoni e affannava il respiro. Sentivo il sangue ribollirmi nella testa, il cuore spalpitare poco più sotto. Ho stretto i pugni, come d’istinto, per regolarizzare la pressione, per abbassare la febbre di quel repentino impazzimento cardiaco. Ora invece, che poco manca prima di mettere piede nell’aeroporto d’arrivo, già mi sento più tranquillo, pur nella perdurante preoccupazione di non trovare nessuno lì ad aspettarmi. Ma la calma visione di Quito in versione notturna, che da qui pare una fitta costellazione di stelle cadute, pallido riflesso di una via lattea colata a picco sulla terraferma, m’infonde serenità. E più forte mi fa sentire l’anelito che mi ha spinto a venire fin qui, l’attrazione irresistibile che esercita su di me questo meraviglioso continente, appena ridestatosi dopo una interminabile notte durata cinquecento anni, da poco riemerso dal suo stato di desaparecido, e ora in procinto di rialzarsi dalle più umilianti vessazioni della storia, recente e remota. Assistere da vicino all’alba di questo risveglio, e magari, nel mio piccolo, prendervi parte: questa la spinta, questo il motivo. Vivere, sommergermi e lasciarmi travolgere dal vento di riscatto che soffia ogni giorno più forte in questa Maiuscula (come la chiamava il Che Guevara) e beneamata America Latina.
Il viaggio

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