“Un piatto di fagioli e il destino”

Mestieri
marinaio, artigiano, imprenditoreLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiore (accademia navale)Paesi di emigrazione
Argentina, Bolivia, Perù, ColombiaData di partenza
1925Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)

Da qualche mese Serretti, che a causa del suo antifascismo ha dovuto rinunciare alla carriera in marina, si trova a Cecina, suo paese natale. Le sue idee politiche sono note, tanto che un giorno il fratello minore, regolarmente inquadrato nella Gioventù fascista, lo mette in guardia: il suo nome è stato segnalato alle squadracce. Gli propone allora di andare a trascorrere qualche giorno a Riparbella, dove i nonni hanno un podere. Lì, lontano dal paese, passeranno il tempo cacciando nei boschi.
“Un piatto di fagioli e il destino” dovrebbe essere il titolo del capitolo seguente se il mio scritto, invece di essere un semplice, schietto racconto della mia vita, volesse avere protezioni (ambizioni, Ndr) biografiche…
Dovevamo partire, io e mio fratello, per Riparbella, quella mattina, possibilmente dopo colazione. Invece che sonno lungo, profondo e duro s’aveva a quell’età…, sta di fatto che destammo e ci alzammo alle dieci del mattino e, dopo colazione, prima di iniziare il viaggio a piedi, una decina di chilometri, ci accorgemmo che neppure avevamo cartucce. Per economia ce le facevamo da noi. Ci mettemmo subito a farne e, arrivati a duecento, considerate quelle indispensabili per quindici giorni di campagna, ci accingemmo a partire. Erano le undici e mezzo del mattino. Mia madre, giustamente, si oppose: “Ormai avete fatto tardi. Restate a pranzo e dopo, verso le due, potrete partire. Arriverete perfettamente prima che faccia notte”. […] “Ho fatto mettere stamattina al fuoco una pentola di fagioli, se voi ve ne andate, chi li mangia?”. Di fronte ad un argomento come questo, altro non ci restò che darle ragione ed aspettare l’ora del pranzo, verso l’una.
Eravamo a metà pranzo quando arrivò un’amica di mamma, C. M. “Sapete niente – disse – ma io ve lo dico, in tutto segreto: U. M. e M. M. fra una settimana partono per l’Argentina”. Mia madre che non sapeva nulla delle ragioni per le quali io me ne andavo fra i poggi, come, d’altronde, neppure le avevo detto la verità in merito all’abbandono definitivo della mia carriera, mascherandola dietro un: “la nave è entrata in riparazione e ci vorranno dai cinque ai sei mesi prima che ci richiamino per l’imbarco” pensò subito: ecco una buona occasione! “Nel frattempo potresti occupare il posto di M. come aiutante contabile alla Magona. Vai subito ad informarti per vedere se si può fare!”, disse mamma, ed io pensai dentro di me: “ecco l’imprevedibile occasione che mi si presenta per la mia liberazione!”, ed uscii subito in cerca di M. e di U.
“Per carità che la cosa resti tra noi, che i fascisti potrebbero ostacolare la nostra partenza!”.
Il primo, benché fascista, aveva preso una posizione dissidente; l’altro era un pezzo grosso, nel paese, della massoneria, ma, benché fosse stato proprio nella massoneria dove il bacillo fascista trovò il miglior caldo di coltivo, adesso, dopo il patto laterano e l’avvicinamento del fascismo al partito cattolico, anche i massoni si erano trovati dall’altra parte della barricata.
“Certo – risposi – nessuno più di me deve, su questo tasto, saper tacere. Ma, ditemi, pensate di andare in Argentina così, allo sbaraglio, in cerca di lavoro, o che pensate di fare in quella Repubblica? Guardate che io ci sono stato a Buenos Aires e degli emigranti, alloggiati sulle panchine dei parchi pubblici prima di trovare un qualsiasi lavoro, ne ho visti tanti e…”.
“No, no! Noi portiamo il nostro proprio lavoro! Abbiamo acquistato un complesso di macchine per la fabbricazione di mattonelle e lo installeremo a Buenos Aires. U., come sai, è praticissimo in questo ramo per aver avuto, proprio dietro alla tua casa, una bella fabbrica di mattonelle. Noi lavoreremo e chissà che un giorno non si arrivi ad essere i due re delle mattonelle!…”
“Siete disposti a ricevermi nella vostra società? Ed in tal caso, per avere diritto alla terza parte, quale dovrebbe essere il mio apporto in lire?”.
Parlottarono tra loro, fecero dei conti col lapis e poi mi dissero che sarei stato ben accetto, ma era necessaria, come parte liquida, la somma di lire tredicimila.
Per conto mio accettai immediatamente riservandomi naturalmente, di verificare la possibilità, da parte dei miei genitori, di trovare per me una somma così grande in un tempo così breve: (in quel tempo, 1925, anche un solo biglietto da mille lire aveva le ali).
Il viaggio

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