Straniera nel proprio paese

Era l’ultima domenica di settembre 1992 gli occhi erano chiusi, i piedi gonfi, il respiro affannoso il liquido saliva alla gola era uno strazio. Alle ore 22 se ne andò serenamente senza alcun rumore. Aveva chiuso gli occhi per sempre l’uomo della mia vita, si era addormentato in eterno.

Ora sono sola e vuota, e tu Claudio te ne sei andato, hai finito di soffrire, ti sei liberato di questo mondo di tenebre […].

Le mie sorelle, Filomena, Flora e Amelia, vogliono che vado in Italia, non mi vedono da diciassette anni. Sì vorrei andare ma non ho la forza di affrontare un viaggio così lunco. Forse partirò al piu presto, ma sono ancora malata. Abbraccio i miei familiari sono in mezzo a loro colmata da tanto affetto.

Vado al paese mio e non lo riconosco è tutto campiato: hanno costruite tante bellissime case nuove, il municipio grande e bello, hanno rifatto l’edificio scolastico e la palestra. La Chiesa madre non è più bella come quella di prima. Il prato verde dietro casa mia non c’è più. Nemmeno i muli e i cavalli coi galessi e carretti vi sono più. Si nota che c’è benessere, tutti vestono bene, in campagna vanno con l’automobile, non c’è più differenza dalla città al paese. Ma io sono come una straniera, non conosco più nessuno, nemmeno il paesaggio stupendo, di monti colline e valli dove sono nata e cresciuta. Gli anni sono passati il tempo cancella tanti ricordi e nulla piu esiste, l’unica testimonianza è la vecchia torre. La mia mente va indietro, corre veloce ai tempi felici della mia fanciullezza.