Mestieri
operaioLivello di scolarizzazione
frequenza universitariaPaesi di emigrazione
SveziaData di partenza
1964Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)Una prima esperienza migratoria in Svezia convince un giovane italiano che il Paese scandinavo è la meta ideale dove andare a cercare un primo impiego invece che portare avanti studi universitari ai quali non dedica più energie sufficienti per motivare l’investimento economico dei genitori.
Ripartenza, 1966
L’estate, durante le vacanze, facevo il fotografo da spiaggia a Lignano, forse il più bel mestiere della mia vita. La cosa si svolgeva così: scattavo qualche centinaio di fotografie ai bagnanti fra la mattina e la sera e consegnavo loro un biglietto numerato per vedere il negativo durante la passeggiata di dopo cena. Riuscivo a racimolare i soldi per acquistare i libri di scuola dell’anno dopo ed in più entravo in contatto con parecchie conoscenze straniere, specie austriache e tedesche, che andavo velocemente a trovare durante il lungo inverno. Pochi avevano la macchina fotografica e quindi le foto si vendevano bene anche se non capivo come da un negativo 24×36 si riuscisse a capire se i soggetti fotografati avevano gli occhi chiusi od aperti, la bocca sorridente od in una smorfia o se la fotografia fosse sfuocata o meno. Nell’ultimo anno che feci questo mestiere, il 1965, il mercato era inflazionato dalle troppe macchine fotografiche in circolazione e così ero costretto a portarmi paperotti e altri pupazzi gonfiabili per attrarre i bambini a farsi fotografare. Una vera fortuna la feci il giorno in cui mi feci prestare un leoncino appena nato dal circo che si trovava in zona. Non chiedevo più alla gente sdraiata sulla spiaggia, ma erano loro che chiedevano di essere fotografati con la bestia e la sera c’era la coda fuori dal negozio per acquistare le fotografie. Purtroppo i colleghi, gelosi del successo, riferirono della cosa alla polizia ed il giorno dopo mi fu impedito di ripetere l’operazione (mentre bagnanti che il giorno prima che non erano riusciti a farsi fotografare mi fermavano per chiedere del leoncino) e ritornai alla solita routine. Dopo un anno di università a Trieste, dove non superai neanche un esame, ritenni giusto non fare spendere tutti i risparmi di una vita di emigrazione ai miei genitori, per fare il mantenuto. In un anno mi ero solo divertito ed assistito a qualche lezione di analisi. Presi la valigia e, quell’estate, me ne partii per la Svezia ad incontrare un grande amore dell’estate precedente che abitava nella città di Gavle. Mi mantenni lavorando come raccoglitore di vassoi in un self service e vidi i campionati del mondo di calcio di quell’anno assieme a due bolognesi, miei coetanei, che avevano avuto la mia stessa idea. Quello fu il mio primo lavoro all’estero. Il self service “GrillPigalle” era gestito dal marito della signora Gustavsson. Ovvero la Gustavsson faceva e disfaceva ed il marito, sempre silenzioso e con lo sguardo perso nell’infinito, stava alla cassa. Era un personaggio senza volontà e desideri, e gli demmo subito il nome di “gustavo” (intendendo con ciò di considerarlo meno che zero, una semplice appendice della moglie) e lo chiamavamo così anche quando ci rivolgevamo a lui direttamente.
Purtroppo mi mangiai quasi tutto il guadagno nei due mesi che stetti lì, perchè non badavo a spese quando si trattava di fare dei regali alla ragazza che amavo. Per ritornare a casa feci l’autostop, perchè non avevo i soldi per il biglietto ferroviario. Il viaggio di 2500 chilometri dal paese a nord di Stoccolma dove mi trovavo durò 4 giorni, con una tappa notturna a S.Pauli ad Amburgo e l’offerta di fermarmi a lavorare in Svizzera da parte di un imprenditore svizzero che mi aveva caricato in Germania ed ospitato una notte a casa sua. Gentilmente ed un po’imbarazzato da quella offerta generosa verso un estraneo, rifiutai. Oramai il mio destino lo vedevo solo in Svezia. Arrivato a casa espressi chiaramente la mia volontà ai miei genitori. Seguì una discussione di giorni durante la quale mi fu assicurato il mantenimento all’università anche se i risultati erano stati, fino ad allora, deludenti. Mi fu fatto notare che ero figlio unico di una madre gravemente ammalata (morbo di Parkinson) e che non potevo lasciarli soli così all’improvviso. Mi fu proposto di andare a lavorare un periodo per capire l’importanza di una laurea e della situazione privilegiata di cui avrei goduto come ingegnere. Cercarono di convincermi che era tempo che mettessi la testa a posto come avevano fatto i miei amici i quali, tutti, frequentavano l’università. Dissequiarono sulla vita difficile che faceva mio padre come meccanico di trattori, tutto il giorno al freddo e sotto la pioggia quando doveva aggiustare un trattore che si era fermato in mezzo ai campi. Portarono l’esempio di mio padre che, da povero orfano e con la sola quinta elementare, era arrivato secondo su 300 partecipanti al corso di motorista navale indetto dalla marina militare e che, grazie quel corso, era riuscito a fare qualsiasi cosa nella vita. No! No! e No! Io avevo tutte le intenzioni serie di essere una persona per bene, li rassicurai. In Svezia avrei ripreso gli studi universitari e mi sarei mantenuto da solo. Non subito, ma appena mi fossi ambientato un po’. D’altra parte non facevo che seguire il loro esempio di cercare fortuna per il mondo. Anche gli amici cercarono di persuadermi. Anzi, arrivarono a dire che la mia decisione rappresentava una fuga e finanche un tradimento verso l’Italia che mi aveva portato a poter ottenere un titolo di scuola superiore. Ora li posso capire meglio, perchè in quegli anni emigrava solo manodopera mentre io, con un diploma di perito industriale per la meccanica e con una offerta di lavoro per andare a progettare gabbie per uccelli nei pressi di Rimini, avrei dovuto o fatto meglio a rimanermene in Italia. Gli studi all’estero erano inconcepibili per la menalità del tempo o, meglio, se li permettevano solo i ricchi che capivano meglio come stava iniziando a girare il mondo. Non c’erano ERASMUS o simili, non c’era nessun incentivo ed opportunità per andare all’estero se non per fare l’operaio. Oramai ero punto sull’onore ed avevo fatto una scommessa con me stesso contro tutti. Gliela avrei fatta vedere io! Con alcuni indumenti in una valigia di cartone partii! Avevo in tasca 150.000 lire ricevute da mio padre (circa 4.000 euro al valore del 2012) più 50.000 lire che il papà facoltoso di una mia amica mi aveva regalato come incoraggiamento ed in segno di stima.
Il viaggio
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