Colonialismi a confronto

Alle ore 8 del 7 ottobre la nave attracca alla banchina del porto di Giacarta. Tutto intorno è squallore, malgrado le ricchezze naturali dell’isola.

Gli olandesi si sono preoccupati, durante la lunga dominazione, di sfruttare solo le risorse locali, a differenza degli italiani, che nelle loro colonie africane hanno lasciato il segno della loro opera civilizzatrice sull’esempio dell’antica Roma. Ora l’Indonesia è indipendente; molti olandesi rientrano in patria e la nostra nave imbarca alcune famiglie che ci faranno compagnia nel viaggio di ritorno.

Nel pomeriggio si salpa per Singapore. All’alba dell’indomani siamo in vista di Sumatra e di altre piccole isole dell’arcipelago. La vegetazione è fittissima e lussureggiante nella verde giungla, ove sopravvive ancora la famosa tigre. Casette di bambù su palafitte in mare aperto, su bassi fondali, servono di ricovero ai pescatori. Alle 18.20 riattraversiamo la linea dell’equatore e finalmente rientriamo nel nostro emisfero. Si naviga con l’aiuto del radar in mezzo a isole e stretti passaggi punteggiati di fanali e sul tardi alla sera si scorge lontano un diffuso chiarore: Singapore!

Il 9 ottobre la Sydney attracca a banchina nel grande porto, sulla soglia dell’Oriente. Nonostante il cattivo tempo la città attira in modo particolare la mia curiosità di viaggiatore attento. All’inizio del terzo decennio del secolo scorso Singapore era ancora un’isola paludosa e quasi disabitata all’estremità meridionale della Malacca. Fortificata dagli inglesi, l’isola ha costituito uno dei più solidi pilastri, nei mari dell’estremo oriente, della vecchia costruzione dell’Impero britannico, ricordo superbo di tempi passati e di un ciclo storico che l’ultima grande guerra ha definitivamente chiuso.