L’appello

Si parte, si passa la frontiera poco prima che facesse notte e vidi per la prima volta quelle montagne alte e già innevate, ma non si pensava al nostro ignoto, si rideva si scherzava, eravamo disturbati ogni tanto dall’aprire e chiudere le valigie per le dogane, finalmente giungiamo alla frontiera belga. Poco dopo il treno inizia a fare le fermate per la consegna dei nostri compagni alle società richiedenti. Fatte parecchie fermate, verso le sei del mattino giungiamo alla stazione di Charleroi. Io ero ancora vinto dal sonno per tutti quei giorni stressanti perché non c’è stato un giorno di vero riposo.

Mentre scendevano e facevano l’appello, sento una voce che mi chiama, mi affaccio al finestrino e mi trovo avvolto in una nebbia fitta che oscurava anche le lampade della stazione, mi sembrava di trovarmi in un inferno dantesco con quelle ombre che giravano come anime che avessero perso l’orizzonte. Vedo un’ombra avvicinarsi e pronunciare ancora il mio nome, ora ho conosciuto la voce, era l’amico Rino che aveva saputo del mio arrivo, rispondo alla sua voce e capito da quella parte giungesse corre verso la mia carrozza. Sale sul treno, ci siamo abbracciati perché eravamo più che amici nonostante che lui avesse qualche anno più di me, scendi ti supplico mi diceva, vieni a lavorare con me, lavoreremo insieme. Mentre insisteva per convincermi, sale sul treno un signore che mi dice di restare al mio posto e che non potevo, io avevo scelto di andare da mio fratello, lui lavorava per un’altra società perciò dovevo rispettare il contratto e gli impegni assunti. Nonostante le insistenze di Rino, ho proseguito l’itinerario prescritto e con Rino ci siamo salutati con l’impegno che la mia destinazione non era distante e appena là giunto dovevo fare pervenire a lui l’indirizzo che sarebbe venuto a prendermi.