La discarica dell’ospedale

Dopo sei ore e trenta di aereo arrivo a Lomè in Togo, notte fonda, mi manca il fiato per il caldo. Ad attenderci i frati e í volontari di Afagnan, tutti contenti e felici. Io sono sotto shock. Non parlo, mi diranno poi. Dopo una sosta di tre o quattro giorni ad Afagnan (sede logistica, oltre che sede di un altro ospedale del Fatebenefratelli di Milano) si sale verso Tanguieta, in Benin. 750 chilometri attraverso il Togo, dieci ore di macchina sul “goudron” (asfalto). Per dieci mesi ne vedrò soltanto un chilometro e mezzo a Natitingou, la via principale. Posti di blocco in ogni cittadina, scambio di battute con i gendarmi. Su loro richiesta gli diamo medicine e qualcosa da mangiare. Hanno sempre freddo!? Anche a Tanguieta arrivo a notte fonda. Vi sono lanterne a petrolio come da noi in montagna. Mi viene nostalgia e penso ai miei nonni che in montagna, con le vacche, hanno lavorato oltre quarant’anni. Mettiamo le derrate in frigo!?

Il giorno dopo vado a fare un giro. È mezzogiorno, e vedo uscire del fumo da una buca. È la discarica dell’ospedale. Intorno bimbi, cani, vacche. Frugano tutti alla ricerca di cibo. Sto male, ho voglia di piangere. Sotima, che conoscerò poi, mi spiega che devono bruciare tutto perché lì dentro ci vanno anche i resti delle operazioni chirurgiche dell’ospedale: amputazioni, cancri, aborti, ecc. Occorre bruciare subito, altrimenti i bambini e gli animali entrano nella buca a frugare per mangiare. È terribile!