Mestieri
governanteLivello di scolarizzazione
licenza elementarePaesi di emigrazione
EritreaData di partenza
1937Periodo storico
Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Poco dopo l’arrivo a Massaua di Luigia, Silvio lascia il lavoro a Debrasina e i due si ricongiungono a Ghinda, a metà strada. Comincia un periodo magico per la vita di entrambi, avventuroso e pieno di passione. Dal loro amore sta per nascere un bimbo quando le cose, dal punto di vista lavorativo ed economico, cominciano a mettersi male.
Era venuto via da Debrasina lasciando tutto… scrisse per dare le dimissioni, e si fece mandare il suo avere e il baule con tutta la sua roba. Aveva un piccolo capitale, e sperando di aver fortuna si stabilì a Ghinda un paese fra Massaua e Asmara, con un clima temperato. Con quei soldi, si mise in società con un certo geometra Martelli, (un marchigiano, che si faceva chiamare ingegnere) con una chiacchera e un modo di fare che avrebbe incantato anche il Padreterno). Iniziarono una fornace di mattoni, l’idea era più che buona, Silvio ne era entusiasta, sognava già di farsi una casa, e con me, formarsi una famiglia. Povero caro! si lasciava influenzare e si illudeva facilmente. Martelli adducendo certe sue conoscenze “in alto” lui era iscritto al fascio, mentre Silvio non lo era e per questo si fidava e si appoggiava al socio che si diceva sicuro di ottenere la licenza per poter mettere in funzione l’attività… Silvio, nell’attesa costruì una baracca, e si stabilì lì era una baracca fatta di assi ricavate dalle casse d’imballaggio del vino e scatolami che arrivavano periodicamente dall’Italia, e delle quali era ingombrato il paese. Il pavimento era fatto coi mattoni appena impastati e asciugati al sole.. Il tutto era fatto coi fusti del catrame, che tutti usavano per quel lavoro, questi fusti venivano aperti e passati sotto i rulli che erano sempre in azione lungo le piste che venivano asfaltate per farne delle belle strade. Silvio arredò molto modestamente questa baracca, due reti un baule che faceva d’armadio, un tavolo 2 sedie, il fornello a petrolio posato su una cassa.. ne era possibile fare altrimenti, non era possibile, a quell’epoca trovare un pezzo di mobiglio neppure a pagarlo a peso d’oro. In quel nido d’amore, mi portò Silvio, e lì passammo la nostra luna di miele… e a noi sembrava di vivere in un castello!.. Eravamo felici e innamorati, eravamo felici di essere di nuovo vicini, dopo tanti mesi di lontananza, e questo per noi era tutto. Io cercai in tutti i modi di rendere quel nostro “nido” più carino possibile.. ma più che qualche fiore, le tendine all’unica finestrella… c’era ben poco… Pazienza, se la fornace sarebbe diventata una realtà, coi primi mattoni, Silvio mi promise che avrebbe fatta una casetta tutta nostra. Il posto dove abitavamo era una radura di terra argillosa, c’erano pochi cespugli spinosi e qualche ocalitpus.. poco lontano in un avvallamento di terreno, passava un piccolo fiume, il maybelà (may) vuole dire acqua in eritreo, ma nel periodo che noi abbiamo trascorso, a Ghinda, c’era poca acqua, perché era il tempo che precede le grandi pioggie. noi però ci accontentavamo e facevamo il bagno là, anche perché non c’era altr’acqua all’infuori di quella che portavano a domicilio alcuni indigeni servendosi di sacchi impermeabili, portati a dorso di asinelli, quest’acqua veniva attinta da una fonte, ma noi per berla e cucinare la facevamo bollire e poi la filtravamo per poterla depurare il più possibile. Eravamo dei veri pionieri… comperavamo i capretti e i polli dai nomadi che passavano di là con le carovane di cammelli… Gli uomini cavalcavano i cammelli le donne e i bambini li seguivano a piedi spingendo avanti quelle poche capre e pecore, unico loro patrimonio col poco latte delle capre e un po’ di thé nutrivano i piccoli, e i grandi mangiavano la [bargutita] o la taita… In quella radura non c’eravamo che noi e le yene.. La sera spece nelle notti di luna, le sentivamo ululare, ma è un verso strano simile a una risata… Ricordo la sera, ci mettavamo fuori della baracca, a respirare un po’ di fresco… e Silvio rifaceva il verso della yena perché lei venisse verso di noi. La yena non ha olfatto… ma ha l’udito.. e seguendo il richiamo di Silvio, scambiandolo per un loro simile, veniva verso di noi… la vedevamo linearsi al chiaro di luna, Silvio continuava il suo richiamo… e lei si avvicinava sempre più… io avevo paura.. il cuore mi batteva forte forte… mi stringevo a Silvio, cercando protezione… quando la brutta bestia era a pochi metri, lui mi prendeva per mano, e dentro! Chiudevamo la porta, poi così come due ragazzi che avevano fatto una biricchinata.. ci guardavamo ridevamo e poi ci abbracciavamo felici… Quella porta stava chiusa se qualcuno o qualcosa la teneva chiusa…. e io avevo paura; allora Silvio che aveva le sue “idee luminose” ideò una chiusura automatica…. Una corda che passava per una carucuola appesa sopra la porta e un grosso sasso in fondo che faceva da contrapeso.. così era fatta. era una chiusura sicurissima, che funzionava a perfezione tanto ladri non c’erano ancora! Pare impossibile ma quella baracca sembrava una reggia per noi e a lei è rimasto legato il ricordo dei nostri giorni più belli, perché anche erano i primi della nostra vita a due, materialmente e spiritualmente fu là che avemmo la gioia di accorgermi che aspettavamo un bambino! Passarono così i primi mesi, fra lavoro e amore, io ero la cuoca e mi davo da fare per preparare dei pranzetti appettitosi, con quel poco che si poteva trovare. Passavano sovente le carovane nomade, e noi con poche lire comperavamo i capretti appena nati, ed era una carne squisita e tenera. Quella povera gente, vendeva queste bestiole perché erano loro d’impaccio portarsele dietro, in quanto non camminavano abbastanza, ma anche perché così rimaneva a loro il latte che il piccolo avrebbe succhiato dalla madre. Poco lontano c’era un villaggio indigeno, con un piccolo spaccio, che vendeva oli latte in scatola sardine e altro scatolame… poca roba, ma con molta buona parte di volontà ci si poteva adattare. Intanto i mattoni si allineavano al sole, Silvio e Martelli avevano ingaggiato una piccola squadra di negretti, tutti bambini sui 9 o 10 anni, vivaci e chiassosi… con quelle piccole mani che sembravano quelle delle scimmie, riempivano di mota delle cassettine su misura di un mattone, poi le voltavano (come fanno i nostri bambini colle formine sulle nostre spiagge, colla sabbia) e li mettevano ad asciugare al sole, bene in fila,.. quando poi il sole li aveva asciugati bene, formavano, delle piccole piramidi…. E tutti quei mattoni aspettavano con noi, il permesso di cominciare un fornace vera e propria che ci avrebbe dato soddisfazione e benessere. Ma fu solo un bel sogno, e come tutti i sogni svanì… Silvio aveva dato fondo ai suoi risparmi, già da un po’ fra lui e Martelli c’era una situazione tesa.. Le conoscenze di Martelli non funzionarono, e dovemmo abbandonare per sempre ogni speranza di realizzare un’avvenire migliore… Io ero al 3 mese di gravidanza, cominciava il periodo delle grandi pioggie, l’acqua che entrava, anche nella baracca, era così violenta, che anche i mattoni si sfasciavano. Colle grandi pioggie arriva la malaria, così io ne fui colpita… Un giorno Silvio mi lasciò febbricitante, per andare ad Asmara che distava da noi circa 60 km, per trovare un’abitazione, e sopratutto un lavoro che ci permettesse di vivere. Fu abbastanza fortunato, perché trovò l’uno e l’altro…. Io ero rimasta a letto quasi tutto il giorno continuavo a prendere chinino che colla malaria era l’unico che allora facesse bene…. verso sera preparai un mezzo caprettino arrosto, perché Silvio tornando trovasse pronto qualcosa per mangiare. Ma la febbre mi colse di nuovo e allora mi coricai e lasciai la porta aperta perché mi sentivo quasi soffocare… Era buio quando mi svegliai perché sentii un rumore di pentole cadute… e rimasi agghiacciata dalla paura… erano entrate nella baracca uno sciacallo e un yena… lanciai un grido fortissimo, e quelle bestiaccie fuggirono. In quel momento Silvio che stava rincasando, sentito il mio grido corse da me, cercava di assicurarmi che erano solo cani randagi ma io avevo visto bene. Solo sentendomi fra le sue braccia ripresi un po’ la calma, ma fu un’esperienza africana poco piacevole. La febbre aumentava così dovetti andare all’ospedale, anche perché avevo paura di perdere il bambino che già amavamo e pensavamo bello e biondo. Il primo sogno.. era rimasto a Ghinda, coi mattoni che si scioglievano sotto la pioggia.
Il viaggio
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