Mestieri
operaio, insegnanteLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
SomaliaData di partenza
1953Data di ritorno
1968Periodo storico
Periodo post seconda guerra mondiale (1946-1976)È il 1953, Oreste Carrera emigra dall’Italia in Somalia. Questo è il racconto del lunghissimo viaggio aereo, circa 22 ore, affrontato per arrivare a Mogadiscio.
Lo stesso istinto che sollecita la rondine a cercare lidi più accoglienti all’avvicinarsi del freddo, indusse me a scegliere l’emigrazione per sfuggire un avvenire fattosi improvvisamente insicuro e velato da incombenti foschie economiche. Emigrare per un ipotetico benessere è sempre, comunque, un rischio e comporta rinunce e sacrifici. Nel ruolo di “pater familias” e di sposo non fu egoismo il mio, ma una cruda necessità della vita. Ancora frastornato da un mondo in rovina, lasciare solo mio figlio e Anna, per almeno tre anni e partire solo verso l’Africa Orientale, fu estremamente traumatizzante. Ricordo con infinita commozione il saluto muto, smarrito, di mio figlio Gianni ancora tanto piccolo ed estraneo ai grossi problemi che si agitavano nel mio intimo. Partii per Roma il giorno 8 maggio 1953; Anna volle essermi vicina fino al decollo dell’aereo per la Somalia. Dopo una sosta a Tarquinia per un saluto a parenti, alle 17 del 10 maggio, dopo un lungo, affettuoso abbraccio, mi sciolsi da Anna per farmi finalmente inghiottire dal grosso quadrimotore a elica destinato a portarmi lontano, lontano.
Ventidue ore di volo su mari e deserti e poi l’assolato aereoporto di Mogadiscio. Non è difficile intuire il tumulto degli affetti contrastanti che si alternavano in me. Per le prime ore, la novità del viaggio in aereo, mi tenne occupato nell’osservare quanto è piccolo il mondo visto dall’alto, ma poi, col trascorrere del tempo, mi son sentito quasi oppresso dalla sfiducia in me stesso e da una visione negativa e dolorosa del mondo. L’altoparlante di bordo mi richiamò alla realtà: l’aereo stava per atterrare all’aeroporto del Cairo. Accogliente la sala ristorante dell’aereoporto ma i camerieri, in bianco e a piedi nudi (a.1953) facevano un certo effetto; mi trovavo in Africa! Scrissi qualche cartolina e poi, di nuovo sull’aereo. Per mala sorte, non mi accorsi che, con me, viaggiavano altri quattro operai ingaggiati dalla mia stessa Società. Il viaggio non sarebbe stato così monotono e la mia mente avrebbe divagato di meno. Solo con i miei pensieri, col cuore gonfio di tristezza, riprendevo il mio posto di volo. Fuori, il buio della notte. La prossima tappa sarebbe stata Kartoum (Khartum, capitale del Sudan, Ndr). Tentai di assopirmi; a tratti mi sono anche addormentato sognando zanzare malariche, mosche tsè tsè, tribù in rivolta, il massacro di italiani del 11 gennaio 1948, la guerra in Kenia dei Mau Mau. Ai primi chiarori dell’alba, mi svegliai di soprassalto. Il trionfo di luce dorata sembrava quasi volesse inghiottire l’aereo con le sue eliche e motori rombanti. L’aurora tropicale è incomparabile. Le stesse dune desertiche, incendiate dai raggi solari, dalle indefinibili sfumature, formavano un unico, grande spettacolo veramente indimenticabile. “Coeli enarrant gloriam Dei!” Nulla di pià vero. Il mio animo, già oppresso da infinita tristezza, si apri a nuove speranze ed alla fiducia in Dio che le bellezze naturali tanto ricordano. A Kartoum arrivai alle ore 9 del giorno 11 maggio. L’aereoporto mi lasciò alquanto deluso per le infrastrutture approssimative. Kartoum, come tutte le città africane già sedi di colonizzatori, è simbolo di contradizione e di incoerenza; fa senso vedere, dall’alto, grattacieli, grandi vie, palazzi con il triste scenario dell’immancabile bidonville. Sono civiltà in aperto contrasto: la civiltà importata o imposta e la civiltà atavica ed ancestrale. Dopo i rifornimenti d’uso, di nuovo in volo. Sorvolai a bassa quota, l’acrocoro etiopico con montagne di oltre 4000 metri. Tra le valli lussureggianti molti i branchi di animali in libertà. A mezzogiorno, sosta a Gibuti. Precario l’aereoporto; nella baracca ristoro ci fu offerta una tazza di pompelmo amaro e neppure fresco, bevanda che ancora non conoscevo ma che giudicai subito pessima. Ancora quattro ore di volo e poi … la meta. Lasciando Gibuti, capitale della Somalia francese, mi trovai subito in territorio somalo amministrato, a quel tempo, dal Governo italiano (AFIS). Dall’aereo non vedevo altro che un arido, sconfinato bassopiano che si perdeva nell’Oceano Indiano. Arrivai a Mogadiscio verso le ore 17.
Il viaggio
Mestieri
operaio, insegnanteLivello di scolarizzazione
diploma di scuola media superiorePaesi di emigrazione
SomaliaData di partenza
1953Data di ritorno
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