La fine dell’impero

Preghiere e bestemmie, bestemmie e preghiere e dalle case sventrate, dal rifugio della Banca d’Italia centrato in pieno da una cannonata, tirarono fuori, impastati tra loro, brandelli di carne e di coperte.

Alla radio italiana, quel giorno, me lo ricordo ancora, dopo il laconico bollettino, suonarono “Tango del mare” e poi “Firenze sogna”.

Ho visto ripassare, laceri ed affamati, dopo mesi e mesi di tribolazioni, i nostri soldati e i nostri coloni della Cirenaica, costretti a ripiegare in Tripolitania: divise a pezzi, scialli scoloriti, facce di polvere gialle come l’itterizia, sguardi attoniti di febbricitanti, cenci, fame, garza, stampelle…..

Qualche reduce delle divisioni decimate non aveva più le mani per salutare, qualcun altro, nell’asola delle palpebre chiuse, non aveva più gli occhi.

Piangemmo noi, anche per loro.

Il 20 gennaio del ’43 Tripoli era già terra di nessuno. Le cannonate si allontanavano, ma le caserme bruciavano, saltavano le munizioni, i carburanti, i moli. Il faro, forse il più alto di tutto il Mediterraneo, minato alla base, si disfece in una montagnola di sassi e con il faro si spense anche la nostra ultima speranza.