Tra due culle

Prima di decidermi a partire, come per fare un esame di coscienza e per convincermi che non facevo male, volli ripercorrere, senza fretta, almeno due delle quattro strade che partono da Tripoli ed attraversano le concessioni.

Tirava il vento del sud, secco e rovente; e se la tramontana di una volta che gelava il respiro sui vetri ci aveva spinto in Africa, ora mi pareva che il ghibli, che invece il respiro lo mozzava, ci spingesse via.

Due strade, due venti. Una gioventù sprecata, trent’anni buttati via. […]

Raduniamo, un’altra volta, le poche cose che le circostanze ci consentono di portar via: vestiti leggeri, perché di pesanti non ne abbiamo più, il brogliazzo dei miei appunti, i miei soliti libri, la biancheria di casa, due album di fotografie ed anche – che lusso per noi! – un vassoio d’argento con zuccheriera e cucchiaini, due tappeti di Misurata e qualche oggettino di ambra e di avorio comprato, finalmente, con l’acconto della liquidazione.

Il nostro patrimonio, dopo mezza vita, è tutto qui, nella liquidazione che non basterà neppure a ricomprarci una casa, se non ci fanno un mutuo, che poi chissà come pagheremo: ma ci sentiamo ricchi per il buon ricordo che lasciamo a chi rimane e per la famiglia che siamo riusciti a tirare su, nonostante la guerra che per sette anni ci divise in due tronconi.

Un altro strizzone, forse più forte del primo, lo provo quando, in campagna, vengono a prendere la culla che avevamo preparato per il nostro primo nipotino. Peccato, era nuova anche questa e quando lo portavano da noi, ci dormiva volentieri. Come quella della sua mamma quando si partì, non ci hanno dato quasi niente.

Tra queste due culle, che sono come la data dei due viaggi, ci sono tutti gli anni buttati al vento: quello vero che arrostiva la pelle e tormentava gli occhi e quello metaforico, delle alterne vicende, che stronca i sogni e le speranze.