Una “macaroni”

Poi una notte ci fu un rastrellamento, credo si dice così: dei patrioti francesi andavano in casa di qualche italiano e li portarono via come facevano in seguito i tedeschi.

Fra questi c’erano Abramo, Enrico e tanti altri, tutta gente che un tempo parlavano bene di Mussolini nel caffè Creola. Babbo ed altri non furono presi. Ma si viveva sempre con quella paura che succedesse anche per noi ciò che era successo agli altri. Ricordo che la mamma aveva preparato una piccola valigia con panni di ricambio in caso che fossero venuti. Il babbo cominciò a vivere nella paura, poi certi amici che si erano naturalizzati francesi, ossia avevano preso la nazionalità francese, si allontanarono. Avevano paura che essendo sempre amici con noi di avere delle noi e così anche quello ci fece male. Erano più odiosi gli italiani dei francesi che loro almeno difendevano la loro patria. Ricordo una mia amica, figlia di un amico di babbo un giorno mi disse: “Sei una macaronì”, sai gli italiani erano chiamati così con disprezzo da certi imbecilli. Tutta piangente dissi al babbo quello che mi aveva detto questa mia amica. “La prossima volta che lo dice – mi disse – dille che lei è francese su un pezzo di carta, e quindi non è un gran valore”. […]

Poi una sera babbo doveva andare in farmacia, non so se doveva andare a prendere una medicina per mamma, perché mamma non andava mai a fare la spesa quando era già sera. Mentre andava in farmacia la luce mancò a Vizille per poco tempo: poco dopo babbo tornò a casa, non ricordo se aveva le medicine o no, era livido. Mamma se ne accorse subito e chiese: “Che cosa ti è successo?” “Sono stato aggredito da quattro o cinque uomini che mi hanno un po’ malmenato, ma siccome non c’era la luce non li ho riconosciuti”. Noi non l’abbiamo mai creduto, ma non ci ha mai voluto dire chi erano, francesi o italiani, giovani o vecchi.