Sakè bollente

Tokyo, 20 Sett.

Odori, vapori di pesce, lampade di carta, grida. E’ festosa questa bettola ed apre solo la sera verso le sei, chiude dopo le undici quando anche l’ultimo avventore avrà vuotato la terza bottiglietta di ceramica piena di sakè bollente e sarà caduto dallo sgabello sotto gli occhi di un amico più sbronzo di lui. Non so come i miei amici l’abbiano scoperta trattandosi di un buco nel seminterrato in una via di una via di un’altra via di una stazione metropolitana fuori mano, ma si vede che c’è anche qualcun altro che ama girare senza bussola e non volendo fa così delle scoperte. Per ora la bettola è piena di gente che batte i pugni sul tavolo, intorno al bancone tutti sono indaffarati a manovrare le bacchette e così velocemente che a poca distanza già, non si distinguono, sembrano code di volano. Al centro dello stazione c’è una grande cappa con sotto un braciere pieno di sabbia rovente in cui sono infilati spiedi di pesce o grosse verdure aromatiche, i camerieri corrono fra il bancone circolare e la griglia pulendosi spesso le mani al grembiule bianco ormai lurido, urlando, ridendo e versandosi birra in improvvisati bicchieri. Avventori e camerieri sembra no conoscersi da sempre man mano che il tempo passa si scambiano brindisi e battute, si picchiano sulle cosce assottigliando gli occhietti lucidi con una gran voglia di baccano. L’allegria è contagiosa, forse tra poco lasceremo perdere anche noi la conversazione per dare sfogo alle sole esclamazioni, magari non durante il mégure ma di certo più tardi con la tazzina di terracotta fumante in mano. Il cameriere arriva quasi a rotoloni, spinto da un altro che ora si sta aggiustando la fascia da kamikaze annodata intorno al capo e ride piegandosi.