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Periodo tra le due guerre mondiali (1914-1945)Temi
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guerraLa parabola della giovinezza vita di Giuliana Polvani, cominciata con la fuga dalla Libia alla vigilia della Seconda guerra mondiale, si conclude con il passaggio del fronte, e con i suoi drammatici effetti, in provincia di Arezzo.
La mattina di S. Pietro e Paolo ( 29 Giugno) del 1944, la mamma vede un gran fumo in lontananza; è l’eccidio di Civitella in Val di Chiana, dove i tedeschi hanno mitragliato la popolazione all’uscita della Messa e dato fuoco poi alle case.
Tra i morti una giovane di Monte San Savino, Gina Valeri, che morì per fare scudo, con il proprio corpo, alla madre rimasta ferita ma, che sopravvisse. Incendiano “La Cornia” e “San Pancrazio”. Nella piazzetta del legname di Monte San Savino, appendono ad un palo della luce pubblica, un uomo “Lorenzo Del Bellino” con un cartello sul petto con sopra scritto “Così muoiono i banditi della Cornia”. Una notte, eravamo ai primi di luglio, sentiamo gridare sotto le finestre. Sono i tedeschi che bussano a tutte le porte per portare via gli uomini e distruggere le cose che trovano.
La catapecchia della nonna è piuttosto bassa: con una scala a spalla si può entrare dalla finestra. La paura ci rende di ghiaccio. Si cerca di non fare rumore persino con il fiato sospeso. Siamo al buio. La mamma è quasi svenuta sul letto, siamo tutti vestiti per essere pronti a scappare, se mai!… “Giuliana muoio!” sospira la mamma sommessamente. Poi cerca di darsi animo con le braccia, aprendole e chiudendole finché ne ha la forza, che si fa sempre più esile. Sembra di essere alla fine.
Passiamo la notte con questa angoscia; nella preghiera silenziosa offro al Signore un sacrificio che non dico e che non dirò mai: questa volta non si tratta né di mangiare né di bere! Appena albeggiato corro all’ospedale a chiamare il dottore e qui mi si presenta uno spettacolo agghiacciante: il dottor Celata stava medicando delle grosse ferite al petto di una donna. Mi dà una fiala per iniezione, non potendosi muovere m’indirizza dall’Eletta, l’infermiera del paese. Ormai, superata la paura di incontrare i tedeschi, e con il coraggio di osare tutto per la mamma, rifaccio la strada inversa pregando. Il paese è deserto. Il negozio del Bardelli è aperto e depredato: un manichino nero giace per terra sull’entrata. Suono il campanello di casa dell’infermiera: “Corra, per favore, Eletta. La mia mamma sta male! Venga subito!”.
Dopo quella puntura la mamma comincia a riprendersi, poi, sottovoce, esclama: “Signore ti ringrazio!” La mamma era salva!
Era l’ultimo giorno del passaggio del fronte. Dovevamo passare la notte, ma questa volta non in casa, possibilmente. C’era, a pochi passi dalla nostra strada, un convento di suore Benedettine che avevano abbandonato, perché sfollate in campagna. I paesani si passano la voce: ” Rifugiamoci nel convento di San Benedetto!” Andiamo anche noi. L’alloggio però è sotto ad un portico all’aperto, ma ben riparato. Per terra sono sparse foglie di granoturco da usare come pagliericcio per la notte.
Mentre siamo lì arriva un tedesco (chi ce lo aveva mandato?) Teneva la mano sulla cinghia, pareva coprire una bomba a mano. Con un coraggio da leoni ,papà e Fulvio Cungi (un naufrago della nave Esperia, che era stato a casa nostra a Tripoli), si fanno incontro offrendogli da bere e chiedendogli se abbia bisogno di qualcosa. ll tedesco non fiata… guarda intorno (forse cerca i giovani?) e se ne va via.
Quella notte io non dormii mai, per due motivi: per paura che la mamma si sentisse di nuovo male e perché fischiavano sopra le nostre teste i sibili dei proiettili delle cannonate. Il fronte era situato nella scuola delle Vertighe, dove in futuro avrò l’insegnamento come “Profuga dell’Africa Italiana”.
Questa fu l’ultima notte di guerra, il 4 luglio 1944 arrivarono i liberatori.
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