“Comunismus catastroph”
Alle premonizioni che si susseguono nel viaggio di Flavia Turri nei Balcani, alla vigilia della caduta del Muro di Berlino, si aggiungono quelle che arrivano dall’incontro con una coppia di turisti Cechi. In uno scambio di vedute incerto per via delle barriere linguistiche, quel che appare certo è il fallimento del comunismo. Anche la Cecoslovacchia pochi mesi dopo avrebbe scritto una pagina cruciale della propria storia, dando vita alla cosiddetta “rivoluzione di velluto” che avrebbe infine portato nel 1992 alla separazione tra Repubblica Ceca e di Slovacchia.
Una sera, rincasando, trovammo con Mladenka e Ante una nuova coppia di ospiti: erano cecoslovacchi. Parlavano anche croato e sapevano un po’ di tedesco, così fummo coinvolti nella conversazione e, ben presto, inondati di domande sul tenore di vita in Italia, gli stipendi, le case, le macchine. Le domande erano inframezzate a commenti in ceco sulla situazione disastrosa del loro paese. Due parole, comprensibilissime nonostante l’ignoranza della lingua ceca, si incisero nella nostra memoria a sintetizzare quel fallimento: “comunismus catastroph”. Ci sembrò quella sera che la gente si rendesse conto per la prima volta della realtà e che solo ora riuscisse a verbalizzarla compiutamente. Nel farlo le persone ci sembravano come in preda a uno shock.
A dicembre di quello stesso anno cadde il regime di Ceausescu, giustiziato assieme alla moglie. Nel 1993 doveva scoppiare la guerra in Bosnia, una delle guerre più sanguinose e crudeli che la storia ricordi. Allora, riandando agli episodi di quell’estate, ci rendemmo conto di essere stati testimoni di un rivolgimento epocale.
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