Cisterne per l’acqua

Già, l’autobotte. Questo fu il problema principale e a prima vista insormontabile, che si dovette affrontare. Perché in questo luogo, che si presentava così ameno, ventilato, ricoperto di una vegetazione abbondante, non c’era acqua. Furono fatte diverse perforazioni, in luoghi diversi. Furono chiamati rabdomanti che vantavano lunghe esperienze positive nei luoghi, più disparati, venne anche una specie di stregone da un villaggio remoto, ma fu tutto inutile: acqua non ne sgorgava assolutamente. La situazione era critica e lo sconforto avrebbe potuto aver ragione di ogni, iniziativa. Ma si trovò il modo di sopperire a questo grave ostacolo: davanti a due bungalow che erano già in costruzione sul pendio della collina sovrastante il ristorante, furono progettate due enormi cisterne in cemento armato che sarebbero state i serbatoi per l’acqua necessaria al villaggio che stava sorgendo. Ma l’acqua? L’acqua fu trovata vicino a Ghinda, a più di 2 Km. di distanza, ed un autocarro dotato di cisterna fu destinato a viaggiare in continuazione per rifornire i due serbatoi. L’autista che provvedeva a questa bisogna, era un romagnolo, naturalmente, anzi un forlimpopolese che aveva seguito mio padre in Africa fin dal suo primo viaggio: si chiamava G. i, ma per tutti era Zvanì, una brava persona, attaccatissima alla mia famiglia, e che nei giorni dell’emergenza, avrebbe dato prova della sua fedeltà, a rischio della sua stessa vita.