L’officina in Tanzania

Si inizia il nostro lavoro. Irma nei suoi locali, uno adibito al taglio, l’altro adibito al cucito aveva un compito non facile. Quelle ragazze, quando cuci-vano a macchina, erano sfrenate, sembrava che dovessero spingere un carro. Lavoro supplementare per me che alla sera, quando finivo il mio lavoro, andavo da loro a riparare le macchine da cucire. Tre o quattro macchine da revisionare c’erano sempre. Io prima di partire per l’Italia avevo chiesto ai padri l’attrezzatura per l’officina. Posso dire che tutto quello che ho chiesto è stato mandato. E posso ben dire che l’officina di Manyoni era forse una delle più attrezzate della Tanzania: c’era, dal tornio alla fresa, alla pressa, al bilanciere, dai trapani a colonna a quelli manuali, tutta l’attrezzatura occorrente per la riparazione delle macchine e autocarri, chiavi di tutte le serie, estrattori di tutte le serie ecc ecc. Abbiamo fatto dei lavori molto importanti; passava la voce ed eravamo ormai conosciuti. Si diceva: Andate a Manyoni, la c’è un bianco che vi risolve il problema. L’officina prima del mio arrivo era allo sbando, senza attrezzature, senza chiavi, c’era un solo cric e una sola saldatrice. Ho chiesto ai padri come mai non ci fossero altre attrezzature, essi mi hanno risposto che di chiavi ne avevano portate tante, ma man mano sparivano, una per volta. Tutti i giorni mancava qualcosa; naturalmente nessuno sapeva niente. Quindi praticamente gli unici lavori che si facevano erano saldature (la saldatrice era troppo pesante da portare via). C’era un capo officina che avrebbe dovuto dare ordini e coordinare il lavoro, invece era il primo a fare cose disoneste. Quando è arrivato tutto il materiale che io avevo ordinato in Italia, visto come funzionavano le cose, ho fatto in un angolo del capannone, il magazzino tutto chiuso, con la porta a chiave.