“Un mondo di grandiosità e silenzio”
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Paesi di emigrazione
Alaska (Stati Uniti d'America)Data di partenza
1990Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Mauro Martinelli parte nell’estate del 1990 per l’Alaska. A spingerlo verso una terra così lontana c’è sì l’amore per la natura e l’incognito, ma anche una profonda insofferenza verso l’Italia e i suoi difetti congeniti.
Petersburg, AK, 7-29-90
A dieci ore di fuso orario da casa, dopo tre giorni di navigazione verso nord, il viaggio è iniziato già da una settimana e molte cose sono successe.
Questo è un mondo fatto di grandiosità e di silenzio, una lunga striscia di mare che corre tra le isole del sud-est dell’Alaska, appena dopo il confine con il Canada. Ci troviamo su un ferry di appassionati naturalisti e anziane coppie di coniugi in cerca di serenità. Un originale microcosmo vivo e reale che corre accanto a queste terre abitate da orsi e aquile, e scorre sull’acqua che è di balene e delfini. Tutti aspettano di vedere gli abitatori del mare, e scrutano lungo le fiancate del ferry il pelo dell’acqua, con cannocchiali e teleobiettivi pronti per essere usati.
La mattina del 21 luglio tutto era a posto. Il biglietto per New York, quello per Seattle e quello, dopo un mese di Alaska, per Orlando, Florida; l’abbonamento di 15 giorni al Greyhound; il biglietto ferroviario da Firenze per Lussemburgo. Tutto a posto. Ma alla stazione, dopo 50 minuti di fila per vidimare il biglietto per Lussemburgo, mi dicono che è obbligatoria la prenotazione. Gran cosa, Italia ’90. La pioggia di miliardi ha permesso notevoli migliorie alla stazione di Firenze S.M.N. Poco importa che i lavori non siano finiti, e dopo l’estate la stazione diventerà dì nuovo un cantiere ad libitum. Ora l’ufficio informazioni è pulito e funzionale e l’aria condizionata, quando funziona, permette anche di respirare un pò di fresco durante la fila. Ma quando mi mandano agli sportelli di prenotazione posti e cuccette l’aria condizionata non c’è, e la fila rasenta le due ore. Altri sportelli sono chiusi, non si sa bene perché. Dopo due ore di coda è il mio turno. Chiedo di prenotare un posto sul treno delle 19,41 per Bruxelles, e aspetto. L’impiegata digita qualcosa sulla tastiera, poi la guarda attònita; dopodiché, senza nemmeno volgere lo sguardo verso lo sportello, vi appende con gesto meccanico un cartello in quattro lingue che dice pressappoco “per inconvenienti tecnici il servizio prenotazioni è sospeso”. Sempre con lo sguardo basso, senza proferire spiegazioni di sorta, ficca con gesto risoluto le sue quattro carabattole nella borsa, conta i soldi, e se ne va.
Cambio turno, probabilmente. Dopo venti minuti arriva un altro impiegato, riconta i soldi con molta calma, si accende una sigaretta, e alle mie proteste replica con un seccatissimo: “Lei deve solo aspettare: è normale, succede tutti i giorni a quest’ora”. Si rifugia nella pagina sportiva di un quotidiano e solo a fine articolo, commentato peraltro con suoi colleghi, realizza che il terminale ha ripreso a funzionare. Controvoglia aggiusta la sedia, ripone il giornale, scrive qualcosa sulla sua agenda, la chiude, la mette nella valigetta, mette la valigetta in terra, e chiede “Dove deve andare ?”.
Questa è l’Italia che conosco, e che desidero fuggire ogni estate. Per me partire è solo entrare per un poco nel mondo che vorrei fosse mio.
Il viaggio
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