Mestieri
registaLivello di scolarizzazione
frequenza universitariaPaesi di emigrazione
Cina, Malesia, NicaraguaData di partenza
1978Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)Nei giorni trascorsi a Pechino, nel 1978, il regista Daniele Cini assiste a un episodio di violenza che lo lascia sgomento.
26 LUGLIO
Il tempo qui a Pechino si dilata in modo curioso: per un verso mi sembra di esser qui da un anno, forse perché ho visto tutto ciò che è turisticamente vedibile e poi per via della full immersion nell’ambiente giornalistico-diplomatico che mi ha detto tutto il dicibile. Capisco come possa succedere che un intellettuale europeo ci scriva un libro sopra dopo appena una settimana di soggiorno. Per un altro verso invece mi sembra che non sia successo ancora niente, e quindi di essere appena sbarcato dalla stazione, ancora sballato dal fuso orario. Naturalmente è un’impressione, dato che sono dieci giorni che fa la stessa ora. Fra l’altro io sono venuto qui per fare un film, quasi me lo dimenticavo; oggi proiettiamo le pellicole sviluppate a Hong Kong, (niente male), e discutiamo sul piano di lavoro. Primo set la polizia, dove dobbiamo denunciare il nostro arrivo, breve stacco sulla burocrazia socialista. Secondo set, la strada degli antiquari con abili giochi di specchi che riflettono specchi e via dicendo. Ci sorge il dubbio di fare una brutta copia della Cina di Antonioni; speriamo almeno che non ci rinneghino. A notte fonda (le sette di sera) convergiamo all’ambasciata francese dove è in programma un film ‘a sorpresa’; la sorpresa è che ci sono solo posti in piedi, per cui ripariamo a casa Palmieri. Lungo la strada di nuovo mi fermo a guardare i capannelli dei cinesi acquattati nel buio, i grappoli di giocatori di dama, le donne che chiacchierano. E’ una scena molto bella, lo stesso tipo di oscura quiete del Macao Ferry di Hong Kong, la prima sera. Qui però non c’è quel senso di miseria disperante, anzi al contrario sento un’aria di tranquillità e collettivismo, pace e senso sociale, una specie di vita di paese in una grande area metropolitana.
Proprio fra le catapecchie della città cinese siamo testimoni di un episodio agghiacciante, che mi fa molto pensare sull’arretratezza culturale, o peggio, sui mostri che può generare un collettivismo forzato o integralista rispetto al problema delle diversità e del rischio che si corre nell’infrangere “la norma”. Assistiamo alla lapidazione di una vecchia con la stessa ferocia (anche se non sanguinolenta) con cui posso immaginarmi certi passatempi medioevali. La scena si apre appena vediamo un gruppo di un centinaio di persone, ai lati del viale che ride e urla; come ci facciamo avanti ci accorgiamo che non si tratta di un teatro ambulante o di qualche dragone di carta, ma in mezzo alla strada, per terra, c’è una vecchia, magra e storta, con la faccia da matta; vicino a lei due ragazzi le strillano qualcosa, come se la rimproverassero; la vecchia si rialza, qualcuno corre avanti e cominciano a volare degli oggetti, persino un sasso diretti verso di lei; allora la vecchia corre verso i banchetti del mercato e rovescia rabbiosamente la frutta; ricominciano i boati, gli sputi, e la folla, con in testa bambini, ma con uomini e donne di ogni età, inizia a seguire “la strega” sbeffeggiandola e bombardandola di mele e verdura; lei cerca di scappare finché arriva un grosso cocomero che le si spacca in testa e lei cade di nuovo. Tutti ridono, non ce n’è uno non dico che intervenga, ma che almeno abbia pietà, o preoccupazione per come andrà a finire. Come sia veramente andata a finire purtroppo non lo so. Il gorgo ha risucchiato la vecchia nei vicoli, e noi non abbiamo avuto coraggio ad addentrarci. Sono rimasto di merda.
Il viaggio
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