L’albergo dei coloni

A Sulmona ci attendeva un camion che ci avrebbe condotti al centro di raccolta appositamente istituito per le famiglie dirette in Libia. Attraversando la città i nostri occhi furono messi a dura prova come non mai nel tentativo di voler abbracciare con lo sguardo tutte le meraviglie a noi ignote; enormi edifici, piazze spaziose, fontane coi loro alti zampilli, verdi giardini, persone ben vestite che passeggiavano tranquillamente dandoci l’impressione di non avere problemi di sorta, era un mondo a noi sconosciuto completamente.

Fummo fatti scendere di fronte ad un grande edificio con l’aspetto di un albergo; un signore molto elegante ci aspettava sul portone. Lo zio che ci aveva accompagnati tirò fuori da una vista delle carte e si diresse verso l’uomo. I due parlarono qualche minuto e il nostro parente fece segno di avvicinarci. Il funzionario con la lista in mano cominciò l’appello. Finita questa operazione, l’impiegato si avvicinò a mamma tempestandola di raccomandazioni circa il comportamento da tenere nel periodo di permanenza in questo ambiente. Entrati nell’atrio, notammo che c’era già zia Agnese con la famiglia arrivata il giorno prima da Celano e un’altra famiglia del nostro paese. Ci furono assegnati i posti nel ristorante e le camere. In questo centro raccolta eravamo ospitate una dozzina di famiglie con la stessa destinazione. La sosta nella città di Ovidio durò quattro giorni. Questo arco di tempo fù sufficente a instaurare fra le persone un clima di familiarità e molte amicizie nacquero, facilitate dalle comuni condizioni socio-economiche e culturali, fra gente che fugge da una perenne miseria nella speranza di prospettive meno grige.