In marcia verso l’Amba Aradam

Si arrivò vicino ad una montagna chiamata Lambaradà (Amba Aradam, ndr). Ci fermammo un paio di chilometri lontano da questa montagna, perché la nostra aviazione dava notizia che su questo monte c’erano tanti abissini armati. Parecchie migliaia, perché era un monte che li favoriva molto secondo le sue caratteristiche. Si stette fermi in quel luogo per circa tre mesi dove l’aviazione e le artiglierie bombardavano da mattina a sera questa montagna, per tutti i tre mesi che siamo stati lì. Fra questo tempo, ci venne un inconveniente. Un soldato attendente di un ufficiale uscì da dove eravamo accampati e si portò molto avanti da lì, da solo, perché cercava una piccola sorgente di acqua per lavare gli indumenti di questo ufficiale. Così non fece ritorno. Una pattuglia armata andò in cerca di questo soldato ma si trovarono solo i panni e lui non c’era. Poco più avanti c’era un villaggio di questi abissini di capanne di paglia. Allora si prese un interprete e con un buon numero di soldati si andò a domandare se avessero visto questo militare. Tutti gli interrogati risposero di no. Allora si presero due o tre di questi abissini e si portarono nel nostro accampamento, legate mani e piedi, botte e senza mangiare. L’interprete domandava sempre se avessero visto questo militare. Dopo tre o quattro giorni di questa brutta visione, dissero di averlo visto. Allora presero questi prigionieri e li portarono dove era nascosto questo militare. Lo ritrovarono ucciso. Ma quello era poco. Bisognava vedere in che condizioni l’avevano ridotto. Allora si prese e si incendiò l’intero villaggio. Ho visto questa situazione tutti i giorni da quando eravamo entrati su questo territorio.