Al lavoro con i bambini

Mestieri
educatriceLivello di scolarizzazione
laureaPaesi di emigrazione
BoliviaData di partenza
2011Periodo storico
Periodo contemporaneo (dal 1977 ai giorni nostri)L’esperienza di lavoro di Elisabetta Caglioni, inserita nella cooperazione internazionale in Bolivia nel 2011, entra nel vivo dopo alcune settimane dal suo trasferimento: nelle lettere che indirizza a casa racconta la sua nuova quotidianità a contatto con i bambini del luogo.
29 aprile, di nuovo La Paz L’altro giorno ho fatto notare all’equipe che, nonostante siano molto carini a preoccuparsi per me e a raccomandarmi ogni giorno che è pericoloso ecc ecc, la realtà è che ogni giorno io necessariamente giro sola quindi forse non mi fa così piacere sentirmi racconti quotidiani di gente derubata…beh, a quanto pare il discorso è servito: hanno finalmente smesso con il terrorismo psicologico! D’altra parte, ho scoperto da sola i veri pericoli di questa città: i cani randagi, il traffico e —la maledizione dei turisti- lo squarau. Mercoledì nella pausa pranzo ho adocchiato un baretto sudicissimo ma stra-economico (5 boliviani -50 centesimi nostri- pasto completo!) e mi son detta: se il mio stomaco regge diventerà il posto fisso in cui mangiare. Bene, lo stomaco non ha decisamente retto. Al lavoro ho sentito una fitta allucinante alla pancia, ha iniziato a girare tutto e, complice l’altura, BAM, sono finita a terra! Per fortuna nulla di grave, mi han dato foglie di coca da masticare e son tornata a casa…poi ho fatto tutto ieri a stretto contatto con il mio bagno 🙂 Oggi mi sento decisamente meglio, anche se non son andata al lavoro perché ho passato mezza giornata all’immigrazione per risolvere il problema documenti e per fortuna ho ottenuto il prolungamento della visa! Ora son qui nella mia cameretta a rilassarmi un po’, musica tè sigaretta e amici a cui scrivere…cosa c’è di più bello?
Il lavoro è iniziato proprio a pieno ritmo ed è più faticoso di quanto pensassi, ma anche molto più bello di quanto mi aspettassi quindi va bene così 🙂 I bambini come vi ho già detto sono splendidi e si è già creato un feeling reciproco: mi aspettano fuori dal centro e mi corrono incontro con caramelle e pop-corn sbausciati, e io da parte mia me li coccolo tutto il tempo e faccio un po’ la scema per rendere più leggero lo studio…ho anche scoperto di non essere in grado di fare le divisioni a più di una cifra. A Saul (lo psicopedagogo responsabile) per non fare figure ho detto che in Italia le facciamo in un altro modo e se mi poteva insegnare, ma non ho mica capito come si fanno…ho risolto il problema dicendo ai bimbi di aiutarsi tra loro a farle e Saul ha pure apprezzato pensando fosse un metodo educativo!
Il lavoro più pesante mentalmente è quello di co-terapia: assisto e partecipo ai colloqui di psicoterapia con bambini/genitori/insegnanti, sia in un centro sia nelle scuole…storie di violenza quotidiana, diritti infantili negati, bambini di 12 anni che con le lacrime ti dicono che i genitori vogliono toglierli dalla scuola e loro vogliono imparare, studiare, non andare a lavorare. Il lavoro infantile è una piaga della Bolivia e, nonostante sulla carta sia negato, di fatto se un genitore vuole togliere il proprio figlio dalla scuola e sbatterlo in una qualsiasi fabbrica o strada a lavorare può farlo. E ti viene necessariamente da fare il paragone con i bambini italiani (senza generalizzare naturalmente), e ti viene da incazzarti e farti mille domande su come gira il mondo. Il difficile, oltre alle storie che ti portano, è la lingua: un conto è parlare spagnolo per farsi capire, un conto è dover fare la raccolta della storia e dover intervenire nel corso della terapia, ho sempre paura di non farmi capire o di dire la parola sbagliata!
I due centri in cui ora lavoro come vi dicevo sono entrambi in periferia e qui effettivamente di notte non ci girerei mai! Ad entrambi si arriva dopo una salita allucinante che ti spezza il fiato, passando tra gruppi di cani randagi che ti abbaiano contro: l’altro giorno per andare ad un centro ho preso una scorciatoia per evitare un pezzo di salita e due cani mi hanno seguita abbaiando e mordendomi la gonna…una paura allucinante, ma per fortuna la gonna svolazzava e non mi hanno morso le gambe! Qui in periferia è tutto diverso, sembra proprio un’altra città e forse lo è davvero, perché purtroppo le laderas sono di fatto ghetti in cui si vede solo popolazione indigena. Tutti mi guardano e alcuni si avvicinano a chiedermi che cosa ci faccio lì, sono incuriositi dalla mia presenza. Ho conosciuto una signora che vende il pane e ogni volta che passo mi insegna una parola in aymara. Per le strade si vedono fantocci appesi ai pali della luce con scritte inquietanti sotto tipo “te matamos”: mi hanno spiegato che sono rivolte ai ladri, che qui la giustizia ufficiale non arriva e spesso vige ancora la legge tradizionale. Eppure c’è un fascino incredibile in queste viuzze di polvere, in queste salite che ti strozzano l’anima e in queste casette di mattoni: forse perché, quando ti fermi a prendere fiato e ti giri, vedi le immense montagne, che nel ricco centro non si possono vedere così bene, nascoste come sono dai grattacieli. A proposito di montagne e natura, più o meno ogni week-end andrò a fare giri di 1-2 giorni, che qui intorno ci sono posti spettacolari! Domani se mi sento meglio vado a fare un trekking di due giorni, ancora non ho ben capito dove, stase alle 6 ci troviamo per organizzare: la cosa bella è che ho conosciuto molta gente del posto e quindi posso girare senza dover fare gite organizzate: risparmio un sacco e sono con amici! E settimana prossima andiamo al lago Titicaca, tenda e chitarre…splendido!
Il viaggio

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